Ansia nel bambino

Il bambino ansioso

Capita frequentemente che i bambini possano sentirsi impauriti e spaventati da una grande quantità di cose: il dentista, un’iniezione, i fantasmi ecc. La paura è infatti un’emozione di base, che si può osservare sin dalla più tenera età, basti pensare alla reazione di un neonato dinanzi ad un rumore improvviso.

Cos’è l’ansia?

L’ansia è una risposta di timore generica, non collegata a stimoli immediatamente identificabili.

È evidente come ciò che può fare o meno paura cambi in base alle età dei bambini: verso i due o tre anni, ad esempio, è frequente la paura del buio, mentre intorno agli otto-dieci anni i timori riguardano in genere aspetti diversi, maggiormente connessi con la performance o con l’accettazione nei vari gruppi di appartenenza esterni alla famiglia (ad esempio il timore del rifiuto da parte del gruppo dei pari, o dell’insuccesso in una prestazione sportiva o scolastica).

Cos’è che differenzia le normali paure dall’ansia vera e propria?

La paura dei bambini è un’emozione che si concentra su un oggetto specifico, un contenuto, al di là di quanto quel contenuto possa essere oggettivamente spaventante per altre persone, ad esempio per un adulto.

In maniera differente, l’ansia ha un carattere generico che si manifesta con preoccupazioni eccessive e vissute come incontrollabili, rispetto a molte situazioni della vita quotidiana. Si tratta di una sensazione più generalizzata di minaccia, di perdita del senso di sicurezza, non direttamente connessa a qualcosa di contingente. Un bambino o un adolescente ansioso, possono sentirsi in difficoltà rispetto al presentarsi di qualcosa su cui non hanno un controllo, entrando così in contatto con un forte vissuto di impotenza. Proviamo ad immaginare un bambino che, per le più svariate situazioni, sperimenti la sensazione che la sua incolumità sia in pericolo. È evidente come questa sua errata percezione possa essere faticosa e rendere la vita di ogni giorno stressante ed impegnativa. Inoltre, a differenza delle normali paure o preoccupazioni contingenti e passeggere, l’ansia ha un carattere persistente e duraturo, diventando in alcuni casi un qualcosa di stabile che accompagna l’individuo e che interferisce con il suo normale sviluppo e funzionamento.

Quali sono le cause dell’ansia?

Gli studiosi appaiono concordi nel riferirsi ad un modello biopsicosociale, secondo il quale l’ansia è il risultato dell’interazione di tre ordini di fattori: quello biologico, legato al corredo genetico di cui ognuno è portatore; quello psicologico, legato al modo il cui il bambino percepisce e si rappresenta il mondo e ciò che lo circonda; quello sociale,  che ha a che fare con lo scambio e l’interazione con i vari contesti in cui si è immersi, partendo dalla famiglia, fino ad arrivare a tutti i vari contesti coinvolti nello sviluppo.

Questi tre ordini di fattori sono in continua interazione fra di loro e possono assumere una caratteristica di “fattore di rischio” o di “fattore protettivo”. Ciò significa, ad esempio, che una predisposizione genetica verso un disturbo ansioso, pur costituendo un fattore di rischio, non determina in termini lineari di causa-effetto la manifestazione del disagio, ma attraverso l’interazione con gli altri fattori può sfociare in molte diverse possibilità, non necessariamente di disagio, ma anche evolutive e adattive.

In che modo un genitore può aiutare il proprio figlio ansioso?

La presenza di vissuti ansiosi nel bambino molto spesso finisce con l’avere importanti ripercussioni sull’intero sistema familiare. Quello che frequentemente si osserva nella pratica clinica è che, in maniera comprensibilmente protettiva e accudente (nessuno vuole vedere il proprio figlio stare male o in difficoltà!), si tendano ad attivare delle condotte evitanti, atte a preservare il bambino da tutte quelle situazioni che potrebbero elicitare in lui una risposta ansiosa. Quando il bambino evita una situazione che gli crea ansia, tale comportamento è rinforzato da una temporanea riduzione della paura. Questo meccanismo però rischia di agire come un boomerang, in quanto finisce con il confermargli come alcune situazioni siano pericolose e vadano evitate. Quindi, una prima cosa da fare, per il genitore, è provare a trovare un’integrazione tollerabile per sé, tra il proprio bisogno di accudire e proteggere il figlio e quello di accompagnarlo un po’ più in là, rispetto all’asticella delle sue paure.

Inoltre, ogni genitore di un bambino ansioso avrà sperimentato personalmente come sia facile ricorrere a delle rassicurazioni, del tipo “non c’è niente di cui aver paura”, oppure “vedrai che andrà tutto bene”, e si sarà anche reso conto come rassicurazioni di questo tipo risultino inefficaci. Questo avviene perché durante un episodio ansioso la parte del cervello più emotiva, quindi automatica, assume il controllo mentre quella più razionale, che sarebbe in grado di beneficiare della rassicurazione, viene temporaneamente messa in “stand-by”. In altre parole, cercare di razionalizzare evidenziando l’assenza di rischi non è certamente risolutivo in quel momento. Sarebbe invece più utile fare dei respiri profondi e restituire al bambino che si comprende la sua emozione, che si è in grado di accoglierla. Poi, in un secondo momento, quando sarà più calmo aiutarlo ad esprimersi, a portare alla luce le sue preoccupazioni, anche attraverso dei giochi da fare insieme, ad esempio costruire una scatola delle paure e metterci dentro le varie cose, oppure ancora personificare l’ansia, con un oggetto, un disegno e parlare con lei.

Teniamo sempre a mente che l’obiettivo non è eliminare il vissuto ansioso che – ricordiamolo – è anche utile, è un segnale che ci mette in allerta e ci aiuta a proteggerci, ma imparare a conviverci e fornire al bambino gli strumenti per gestirlo in modo che non sia un limite che ne impedisca l’evoluzione.

Se sentiamo di non farcela da soli, la terapia familiare con il bambino che presenta sintomi ansiosi è un valido strumento per far fronte alla situazione.