Star bene a scuola: didattica online.

Per una didattica di vicinanza…

In questo secondo articolo vorrei parlarvi di un progetto di integrazione della diversa abilità a scuola entro il servizio di assistenza specialistica presso un liceo romano, a valle della riorganizzazione della didattica a distanza in relazione alla vicenda coronavirus. Nello specifico vi racconterò come l’esperienza d’intervento sia stata orientata da due piste possibili: la possibilità di manutenere e valorizzare in rapporti in gioco nel contesto scolastico e la costruzione di spazi ove poter pensare emozioni. 

Qualche cenno su cosa è l’assistenza specialistica?

Si configura come una funzione integrativa (Paniccia, 2012) che promuove lo sviluppo dell’apprendimento e del rapporto tra studente con certificazione e contesto scolastico. Da diversi anni l’Ente erogatore ha incoraggiato un cambiamento di rotta negli interventi, proponendo un passaggio da una cultura meramente assistenzialistica e individualistica allo sviluppo di una figura di sistema capace di intercettare le domande emergenti dall’incontro tra studente disabile e comunità scolastica, nonché di individuare le problematiche che si ipotizzano trasversali a tutti gli attori coinvolti. In tal senso l’integrazione della disabilità pone un confronto con la differenza e mette sul piatto la possibilità di inventare prassi di lavoro e strategie educative che tengano insieme le diversità portate dagli studenti.

Da questo vertice l’obiettivo in questo articolo è di promuovere una riflessione sulle culture organizzative che hanno orientato le prassi scolastiche a partire dalle emozioni evocate dalla vicenda covid-19. Nello specifico istituto superiore ci si è sentiti catapultati in uno spazio di sospensione dove sono venuti meno i riferimenti quotidiani, dalla condivisione dello spazio fisico alle regole che hanno organizzato la convivenza fino a quel momento: disorientamento e spaesamento hanno attraversato la comunità scolastica. Eppure l’attivazione verso l’utilizzo dello spazio online è stata quasi istintiva rappresentandosi le tecnologie come mezzi per restare in contatto. Una corsa e formazione repentina a scaricare quante più piattaforme possibili da sperimentare: emergono una cultura fortemente orientata al fare in modo da riorganizzarsi il prima possibile e al contempo la necessità di essere guidati in un processo di cambiamento. Si organizzano videolezioni, dove sembrerebbe più difficile perseguire lo scenario classico, che funge da organizzatore forte entro la cultura scolastica, che vede la centralità del docente come esperto della trasmissione di contenuti e competenze da apprendere in modo replicativo e il discente come recettore inesperto di contenuti. Viene meno anche l’obbligatorietà nella partecipazione alle videolezioni: dunque cosa motiva la partecipazione?

L’incontro on line è un nuovo assetto da esplorare e da costruire: non si è a scuola, non si è a casa (pur essendo collegati dalle proprie case), ma si è in uno spazio diffuso, con finestre sui propri contesti di riferimento, ove il setting va ricondiviso. Sembrerebbe utile un modo di riassestarsi, di ritrovare un nuovo equilibrio essendo entrata in crisi la fantasia di avere obiettivi prestabiliti. Una traccia di ciò è visibile nell’uso dello schermo nero, utilizzato da molti studenti durante le videolezioni, che si potrebbe ipotizzare rappresenti un indizio per ragionare sull’invisibilità o visibilità, per esempio, dei bisogni formativi degli studenti.

Quanto è utilizzato come modo da parte degli stessi per riprendersi un potere entro il rapporto formativo con i docenti, che si sente sbilanciato? E se fosse usato come modo per ribaltare l’asimmetricità sentita nel rapporto classico?

Lo schermo nero ci invita a fare ipotesi di riflessione: si presenta a mio avviso un’occasione per chiedere agli studenti quali significati vi attribuiscano. Direi che lo schermo nero ci fa confrontare con la metafora del vedere gli studenti a scuola: quanto è possibile nascondersi, partecipare poco, passare inosservati, omologarsi, sottraendosi dal rapporto rispetto alla possibilità di condividere obiettivi formativi e didattici? Ci si potrebbe chiedere quale messaggio stiano inviando e come implicarli in prima persona?

L’ipotesi è che si renda necessario, in questo momento più che in altri, differenziare una formazione data per scontata (di tipo trasmissivo e informativo) da una formazione costruita (Carli, Grasso, Paniccia, 2007) insieme nel qui e ora della relazione docente-studente, volta a costruire significati e contenuti utili alla comprensione della realtà a partire da ciò che si sta condividendo. 

Fasi del lavoro

A partire da queste considerazioni una prima azione di lavoro sviluppata prevede incontri on line con lo studente certificato, orientati ad elaborare i vissuti relativi a questo periodo. 

  • Fare insieme un gioco, tratto da La grammatica della fantasia di Gianni Rodari, chiamato “Il sasso nello stagno”, è stato utile a giocare con le parole e ad inventare storie tra la realtà e la fantasia. “Un sasso in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie. Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni” (cit. Gianni Rodari, 1973). In questo modo associando parole alle iniziali dei nomi scelti (ora di professori ora di amici) sono emersi via via contesti e ricordi che affiorano (il momento attuale relativo al coronavirus, le partite a pallavolo nella palestra a scuola e la squadra di basket), personaggi di canzoni e di serie TV, compagni di classe, di cui si è sentita la nostalgia, che hanno animato questi incontri in modo divertente. Da qui è nata l’idea di produrre un libro digitale, volto a raccogliere e a tenere insieme le storie inventate dallo studente. L’azione del gioco ha consentito attraverso le associazioni simboliche di dare parola ad emozioni difficili da esprimere. Il gioco è risultato essere un mediatore del rapporto così come lo è nel rapporto in presenza con i pari, con i quali imparare a contrattare, negoziare per il raggiungimento di obiettivi.

Una seconda azione di lavoro ha riguardato il raccordo con la classe nel momento in cui è emerso il desiderio di reincontrarsi, oltrechè dopo aver imparato ad usare qualche nuova piattaforma.

  • L’esercitazione Emozioni in grafica, proposta in accordo con i docenti, ha l’obiettivo di conoscere e mettere in condivisione le emozioni riguardo ad un tema. Ho chiesto quali emozioni ci hanno attraversato in questo periodo con l’obiettivo di ricontestualizzarle nel tessuto relazionale della classe: è stato funzionale a recuperare le tracce di rapporti che si stavano sviluppando. Un altro obiettivo è la possibilità di dare voce alle emozioni trattenute, sopite, nascoste, difficili da esprimere in modo da poter individuare qualche criterio emozionale per leggere questo momento fuori dall’ordinario. Gli studenti si dimostrano interessati: un primo momento prevede di pensare in solitaria al tema e di elaborarlo graficamente producendo un disegno; un secondo momento prevede che ogni partecipante dica alla classe cosa ha voluto rappresentare. Dal disegno alla parola è possibile tracciare i seguenti temi e fili rossi, che hanno organizzato la discussione: sentimenti di tristezza, di timore, di malinconia, di noia e di pesantezza, vissuti di nostalgia, dimensioni sognate piuttosto che eroiche, senso di incertezza per il futuro e un senso di vuoto e di spaesamento. Vengono evocati da un lato spazi chiusi e senso di costrizione dall’altro un mare emozionale senza argini, in cui si dichiarano emozioni di solitudine. E’possibile rintracciare una differenza tra la fantasia di essere soli e sentirsi soli: si richiamano pieni rispetto a vuoti per esempio gli hobby, la musica, lo sport, i libri. Si recupera la dimensione della scuola come ancora di salvezza, ma anche come strumento: si portano domande alla scuola relative al capirci qualcosa insieme. Si fa riferimento agli schermi dei pc e ai collegamenti confusi e pasticciati tra i compagni e con i docenti, alla possibilità di vedersi e di nascondersi, di stare davanti e dietro a scuola. E’possibile dirsi che “ci si è mancati”: eppure si coglie che siamo tutti dentro un’esperienza di novità che ci fa sentire un’antinomia, ovvero l’essere lontani e al contempo così vicini sia nelle relazioni affettive familiari sia nelle relazioni affettive scolastiche. Le risorse sono in queste occasioni che stiamo sperimentando e nella partecipazione degli studenti foriera di domande formative: c’è chi ha elaborato un piano per il futuro che vede nella scuola una possibilità realizzativa ed una dimensione generativa. 
  • Una terza azione ha riguardato gli incontri di monitoraggio e raccordo con la famiglia dello studente certificato circa lo sviluppo e il lavoro svolto insieme per restituire conoscenza riguardo allo sviluppo degli apprendimenti in atto.

Riflessioni e conclusioni

Dalle tracce emozionali messe in gioco in questa proposta di lavoro, questo articolo vuole contribuire a rileggere la vicenda covid come un momento di rimescolamento, nel quale sia possibile apprendere dall’esperienza (Bion, 1971): apprendere a riconsiderare i rapporti a scuola come capitale sociale su cui investire. 

L’idea è che condividere i propri vissuti nel rapporto tra docente e studente possa contribuire a riorganizzarli in assetti non scontati da significare. Mettere a risorsa quanto accaduto in questo periodo e farne tesoro dipende dai significanti dell’agire educativo che scegliamo e che intendiamo sviluppare. 

Riferimenti bibliografici

  • Rosa Maria Paniccia, Rivista di psicologia clinica, No 2 2012, Gli assistenti all’autonomia e all’integrazione per la disabilità a scuola. Da ruoli confusi a funzioni chiare.
  • Carli, Grasso, Paniccia (2007), La formazione alla psicologia clinica. Pensare emozioni, Franco Angeli Editore
  • Rodari (1973), La grammatica della fantasia, Einaudi Editore
  • Bion W.R. (1971), Esperienze nei gruppi, Armando Editore